“Quella di Zaia è stata una vittoria abbastanza scontata. Zaia è stato così furbo da fare un quesito che chiedeva ‘vuoi maggiore autonomia?’, è un po’ come fare un referendum chiedendo ‘volete bene alla vostra mamma?’. Quindi ecco perché un risultato scontato”. E’ il commento, all’indomani del referendum in Lombardia e Veneto, di Felice Besostri, avvocato, con un passato da docente di diritto pubblico comparato alla Statale di Milano e di senatore dell’Ulivo nel ’96, coordinatore degli Avvocati Antitalikum e membro del Coordinamento Democrazia Costituzionale. Besostri, che dopo la campagna contro l’Italicum si è mostrato molto critico anche nei confronti della nuova legge elettorale, in merito al referendum sull’autonomia nelle regioni governate da Maroni e Zaia ha sostenuto la posizione della non partecipazione alla consultazione referendaria.
E il referendum di Maroni? 
“Il governatore della Lombardia ha fatto un quesito che presupponeva che uno conoscesse l’articolo 116 e 117 della Costituzione. Una conoscenza che ben pochi hanno. Da qui la più scarsa partecipazione”.
Quella del governatore del Veneto Luca Zaia quindi sarebbe solo una mossa elettorale? 
“Non c’è dubbio. Fanno una cosa per cui hanno bisogno di avere il consenso del governo e del parlamento, ma in tutti questi anni non hanno fatto una cosa che potevano fare solo con legge regionale. Non lo hanno fatto nemmeno quando c’era il leghista Cota in Piemonte, Maroni in Lombardia e Zaia in Veneto. Secondo l’articolo 117 con legge regionale le Regioni per una maggiore attuazione delle loro competenze possono deliberare di costituire organi comuni.
Vale a dire fare organi comuni del lombardoveneto, gestire insieme ad esempio le sponde del lago di Garda. Con moltissimi risparmi. Perché fare un referendum che non da’ certo maggiore forza a una trattativa con lo Stato?”.
La trattativa con il governo su cosa potrebbe incagliarsi? Sul tema fiscale?
“Malgrado ciò che Zaia e Maroni hanno fatto credere la materia fiscale non è materia dell’articolo 116. La cosa è già finita lì. Se poi passa la tesi -appena applicato il Def – di sciogliere le Camere, anche per lo scopo inconfessabile di impedire che la corte costituzionale si pronunci prima delle elezioni anche sul Rosatellum, allora la trattativa non inizia neppure.
E quindi maggiori competenze non le avranno. Sono chiacchiere, non c’è trippa per gatti, non ci sono risorse. A meno di dare maggiori competenze e non dare maggiori mezzi finanziari. Su questo è stato ingannato il cittadino. Non ci sono automatismi fra maggiori competenze e allocazione di maggiori risorse”.
Lei cosa farà dopo questo che lei chiama ‘inganno’?
“A questo punto spero che qualcuno raccolga il mio appello rivolto a Regioni, che sono peraltro confinanti, ad adoperare il penultimo comma dell’articolo 117 e fare organi comuni per una maggiore gestione delle competenze che hanno già. Possono ricostituire il lombardo-veneto e unirsi peraltro a chi come l’Austria ha politiche dure contro l’immigrazione”.
Parallelismi fra i referendum in Lombardia e Veneto e quello Catalano ? 
“Non ce n’è nemmeno uno.
In Lombardia non si parla il lombardo come si parla invece il Catalano. In Catalogna avrebbero potuto ottenere migliori risultati se non avessero deciso di violare il loro stesso statuto. La legge che indiceva il referendum per lo statuto della Catalogna, non della Spagna, doveva essere deliberato con una maggioranza dei 2/3, invece lo hanno fatto a maggioranza semplice. A un processo un po’ più lungo e più sicuro il presidente della Generalitat Puigdemont ha preferito fare una forzatura per motivi di rapporti di forza politici”.
Fonte: La Presse