«Roma. Sono le «deforme costituzionali».

Il segno del «tratto autoritario del premier che dice “dopo di me il diluvio” invocando il plebiscito, ma il diluvio non ci sarà». E ancora: «È truffaldino che il governo sostenga di farsi promotore di un referendum che è oppositivo per trasformarlo in un plebiscito su Renzi». Sono le parole d’ordine con cui il “comitato del no” alla riforma costituzionale, lancia la battaglia per il referendum. Presidente è il costituzionalista Alessandro Pace. “En plein” di giuristi e intellettuali, quelli che una volta il premier definì i “professoroni”, e ora “i gufi”, da Stefano Rodotà a Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare, Felice Besostri, Domenico Gallo, Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, e che ora si trascinano dietro una folla di adesioni al comitato, al punto che non basta ieri la prima sala messa a disposizione dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, ma occorre spostarsi tutti nella più grande auletta dei gruppi parlamentari. E fuori resta la fila.
Ma soprattutto è un fronte per il referendum del tutto inedito, che vede accanto gli anti berlusconiani e i berlusconiani, perché va dalla Sinistra di Vendola e Fassina alla Lega, dai grillini a Forza Italia appunto. La mobilitazione è già partita. Il referendum, che formalmente sarà indetto subito dopo l’ok definitivo alla seconda lettura della riforma, quindi non prima di aprile, ha già i numeri. Sono infatti 126 le firme di parlamentari – spiega Alfiero Grandi che coordina la prima volta del comitato – dopo avere letto il messaggio di adesione “esterna” del M5Stelle e avere conteggiato “Possibile” di Civati. La «quota» per il referendum insomma c’è. Del resto nell’aula della Camera Mariastella Gelmini prende l’impegno per conto di Berlusconi: «Sosterremo i comitati per il no al referendum, per mandare a casa Renzi». I parlamentari di Sinistra Italiana sono invece presenti alla riunione, capitanati da Scotto, D’Attorre, Fratoianni, De Petris, prima di allontanarsi per votare contro la riforma costituzionale. Perché la riunione del “comitato del no” è convocata in contemporanea all’ultimo atto della prima lettura della riforma.
Scranni affollati da giuristi come Raniero La Valle e da politici, appunto. Si rivedono Tonino Di Pietro, che parla di «nucleo neo piduista del sistema che Renzi sta attuando», Falomi, Vincenzo Vita, Pancho Pardi, Antonino Ingroia, Cesare Salvi. Anche Paolo Cirino Pomicino, che promette di portare un gruppetto di supporter. C’è il segretario della Fiom, Maurizio Landini che ha una speranza: «La Cgil sta decidendo come schierarsi, spero stia da questa parte, perché la riforma di Renzi riduce gli spazi di democrazia». «Non è tempo di fare gli schizzinosi rispetto alle adesioni, ma di battersi per non fare passare la riforma», spiega Sandra Bonsanti a proposito della carovana referendaria. Incalza Rodotà: «Non proprio un ricatto da Renzi ma si esprime come i monarchi… il premier espropria i cittadini, carne da tweet e da slide, è un passo in più verso la democrazia plebiscitaria». Reazione del capogruppo dem, Rosato: «Si compatta un fronte della conservazione Vendola, Brunetta, Grillo» il fronte del no.

Affollata l’auletta dei gruppi alla Camera per la presentazione del comitato del No alla riforma della Costituzione

Giovanna Casadio – La Repubblica

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La Voce del padrone

I temi posti dall’iniziativa dello scorso lunedì del comitato per il No al futuro referendum confermativo della «de-forma» (termine coniato da Felice Besostri) costituzionale hanno toccato anche l’informazione. Stefano Rodotà è stato nettissimo. I media sono travolti dall’accentramento dei poteri e la spinta a farne i pifferai del governo è fortissima.
La recente (contro)riforma della Rai è un pezzo dello stesso spartito. Addio a ogni balance, e un bel calcio ai concetti chiave di indipendenza e di autonomia. Il passaggio alle forme dell’elettroregime, quello che controlla direttamente le agenzie di formazione dell’immaginario collettivo, è in corso. Poche voci resistono, un lavoro giornalistico sempre più precarizzato è soggetto al doppio condizionamento: della cattiva politica e dell’altrettanto cattivo mercato liberista. Senza pluralismo e rispetto integrale dell’articolo 21 della Costituzione l’assetto democratico viene compromesso. «Conoscere per deliberare», diceva Luigi Einaudi e ripete ogni giorno Radio radicale, preziosa emittente del partito che ha fatto della strategia referendaria un riferimento essenziale.
Del resto, nella società liquida e nella debolezza dei gruppi organizzati, nell’era digitale e nella connessione permanente in rete il ricorso a quel tipo di consultazione è una necessità. Infatti, accanto al referendum «confermativo» cui Renzi si affida come all’urlo della tifoseria, sono previsti i referendum abrogativi dell’Italicum, la normativa elettorale supermaggioritaria. E altri quesiti sono in preparazione, dalla scuola al Jobs Act.
Se news e approfondimenti sono omologati, come indicano le tabelle del Centro di ascolto radicale, con pochi spazi residuali per gli altri, il destino è scritto in anticipo.
L’Autorità per le garanzie delle comunicazioni dovrebbe intervenire subito, sulla scorta della sua stessa giurisprudenza, affinché la stessa fase preparatoria avvenga nel rispetto delle regole e delle opinioni in campo. Altrimenti, il passaggio alla repubblica peronista e plebiscitaria diviene un pericolo reale. Così pure la commissione parlamentare di vigilanza ha davanti a sé il compito di dare indirizzi chiari al servizio pubblico. Quest’ultimo ha obblighi maggiori e non può in alcun modo eludere il capitolo , innanzitutto dando voce paritaria a chi è per il sì e a chi è per il no. E la cospicua percentuale dei potenziali astenuti è certamente dovuta alla scarsità di un’informazione adeguata, di precisione.
Non si tratta, come vorrebbe la facile sloganistica di Renzi, di un taglio della casta o dei costi della politica (il Senato rimarrà, non viene sciolto, l’unica vera differenza è che non saranno i cittadini ad eleggerlo). È la conclusione della lunga stagione parlamentare, con l’azzoppamento della Carta fondamentale.
Finora il racconto approfondito ed argomentato sui termini della questione è rimasto sfumato o sullo sfondo, con poche eccezioni.
Il testo sulla Rai frettolosamente varato nei giorni natalizi non risultava fino a ieri ancora pubblicato dalla Gazzetta ufficiale. Nel frattempo, però, tra le associazioni e le personalità che hanno sottoscritto la lettera-appello al Presidente Mattarella sulle storture della legge si comincia a delineare l’opportunità di immaginare una rapida raccolta di firme, tesa ad inserire pure la Rai tra i nodi referendari. Quel testo va abrogato, prima che i danni si dispieghino fino in fondo.
Insomma, prima che il servizio pubblico diventi strutturalmente una mera costola di palazzo Chigi.

Vincenzo Vita – Il Manifesto