Comunicato Stampa

Roma, 23 gennaio 2017

“L’Italicum prevede un premio di maggioranza di 340 seggi pari al 54% dei 630 seggi complessivi, ma al 55% dei seggi del territorio nazionale al netto dei 12 della Circoscrizione estero e una soglia di accesso nazionale del 3%, cioè le liste che non raggiungono almeno il 3% non hanno diritto ad alcun rappresentante: con una legge integralmente proporzionale una lista con il 2,5% avrebbe diritto a 15 deputati” afferma Felice Besostri Coordinatore dei ricorsi Antitalikum.

“La lista vincitrice, formerà il Governo, che godrebbe non solo dei 340 seggi ma anche quelli politicamente affini della Circoscrizione Estero e dei 9 collegi uninominali della Val d’Aosta e del Trentino Alto Adige/Südtirol. Prudenzialmente il Presidente del Consiglio potrà contare su 355 seggi, pari al 56%”.

Oltre all’abnorme premio di maggioranza, che nel caso in cui fosse passata la deforma costituzionale avrebbe assicurato al Governo il controllo del Parlamento in seduta comune composto da 730, vi era il privilegio della elezione dei capilista, cioè di 378 seggi, 100 della lista vincitrice e 278 delle minoranze, se nessuna di esse ottiene più di 100 seggi. Non ci sono più le liste integralmente bloccate, ma aggiungendo i 9 collegi uninominali abbiamo pur sempre il 61,4% dei deputati nominati dai capipartito.

Prosegue Besostri “L’Italicum dopo lo stralcio delle norme sul Senato nel marzo 2014 è stato il diretto ispiratore della deforma costituzionale Renzi-Boschi presentata l’8 aprile 2014. Il successo del NO potrebbe comportare l’annullamento totale della legge elettorale per irragionevolezza di una legge che sacrifica la rappresentanza in una sola Camera di un Parlamento bicamerale che deve assicurare la fiducia ex art.94 Cost. E’ una delle censure sollevate dall’ordinanza del Tribunale di Messina del 17 febbraio 2016 su cui si deve pronunciare il 24 gennaio la Consulta”.

E conclude Besostri “L’esito referendario del 4 dicembre ha sventato il passaggio da una Repubblica democratica con forma di governo parlamentare, ad un premierato assoluto senza i contrappesi di un sistema presidenziale, dove vige il principio della divisioni dei poteri.

Il primo ministro con il premio di maggioranza avrebbe controllato l’unica camera elettiva e si sarebbe sovraordinato al Presidente della Repubblica svuotato del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall’art. 92 Cost. e minacciato di essere messo in stato d’accusa grazie all’art. 90 dal Parlamento in seduta comune”.

Monica Pepe

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