«Interventi
Angelo Longhi –  pres. ANPI Niguarda
Roberto Cenati – pres. Prov. ANPI Milano
Felice C. Besostri – Coautore ricorso per incostituzionalità del “porcellum”, accolto alla Corte costituzionale
In appendice: articolo di Stefano Rodotà, e comunicato della Direzione ANPI nazionale

E così il 10 marzo 2015 i partiti di governo e una parte di deputati dell’opposizione di destra hanno votato per la seconda volta sulle quattro previste, una profonda revisione della nostra Costituzione Repubblicana (si parla di oltre 35 articoli). Hanno votato a favore anche una buona parte dei deputati e senatori della stessa maggioranza che pur non essendo convinti della “riforma” anzi pur giudicandola sbagliata e pericolosa, hanno privilegiato le ragioni di partito a quelle di merito. E così, sotto il ricatto di elezioni anticipate esercitato da un Premier mai eletto, elezioni a cui si andrebbe con la nuova legge elettorale i cui meccanismi rendono credibile la minaccia dell’esclusione dei dissenzienti dalle liste, hanno approvato un progetto di modifica Costituzionale mai sottoposto agli elettori ma nato nelle stanze del Nazareno in base a un misterioso patto privato con Silvio Berlusconi, il noto pregiudicato con i diritti civili sospesi e per questo espulso dal Parlamento. Il quale poi si è poi sfilato in extremis dal patto, lasciando che lo votassero una manciata di suoi ex senatori (il gruppo Verdini) e i parlamentari dei due maggiori partiti al governo (il PD e l’NCD), che alle ultime elezioni hanno di poco superato il 30% dei voti, ma sono padroni della Camera grazie a un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale e perciò illegittimo dalla Consulta.
La democrazia per come l’abbiamo conosciuta in Italia non è mai stata così in pericolo come adesso. A causa della crisi economica e la crescita della forbice sociale tra ricchi e poveri, per la corruzione diffusa nella società civile e nelle forze organizzate (partiti, associazioni, ordini professionali e sportivi), per l’insofferenza e l’estraneità verso i partiti politici con un astensionismo ormai oltre il 50%, per l’affermarsi di forze che dell’urlo razzista fanno un metodo per raccogliere facile consenso, e infine per una situazione internazionale che a detta di molti è risolvibile solo con la guerra, si configura una situazione che ci spinge a dire che il futuro prossimo sarà un tempo in cui saranno messe alla prova le nostre capacità di difendere la democrazia per come l’abbiamo conosciuta.
Fatta di corpi intermedi, di partecipazione, di decisioni condivise. Come ANPI non vogliamo entrare nel campo della politica quotidiana e delle posizioni partitiche ma attenerci alle nostre finalità statutarie: difendere i principi e i VALORI contenuti nella Costituzione. Ma voglio ricordare perchè si è cominciato a parlare di riforme costituzionali. Si è cominciato a parlare nel PD e non solo di cambiare la costituzione per “ammodernarla” dopo il 28 maggio 2013 su input di un documento di 16 pagine a cura di una grande società finanziaria multinazionale con annessa banca, la JP Morgan. Se non si ricorda questo, tutto quello che è venuto dopo non si riesce a inquadrarlo. Nel Report della banca d’affari statunitense, formalmente denunciata nel 2012 dal governo federale USA come corresponsabile dello scoppio della crisi economica per i suo atti spregiudicati, e considerata responsabile della crisi dei subprime, si proponeva una ricetta ai paesi europei che arrancavano economicamente: da notare che il report citava, tra gli aspetti problematici, la tutela garantita ai diritti dei lavoratori.
Dopo che nell’introduzione si fa già riferimento alla necessità di intervenire politicamente a livello locale, a pagina 12 e 13 si arriva alle Costituzioni dei paesi europei, con particolare riferimento alla loro origine e ai contenuti: “Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea” (traduzione da http://culturaliberta.wordpress.com/). Si afferma che i problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che “i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo”.
E’ per colpa delle idee socialiste insite nelle costituzioni, secondo Jp Morgan, il motivo per cui non si riescono ad applicare le necessarie misure di austerity. “I sistemi politici e costituzionali del sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele Costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”. E fn qui la diagnosi del grande capitale finanziario internazionale che rende più comprensibili gli avvenimenti che avvengono. La FIOM il sindacato dei metalmeccanici della CGIL da oltre un secolo la punta di diamante del sindacato italiano, viene espulsa dai posti di lavoro della FIAT, oggi FCA.
La decisione è di Marchionne, un manager famoso in tutto il mondo per avere uno stipendio faraonico, il più pagato del suo settore. Arriva a prendere 6.000 volte la paga di un suo dipendente e questo nobile esempio di patriota citatissimo da Renzi ha la residenza in Svizzera che tra gli altri vantaggi ha anche quello di essere fiscalmente più vantaggiosa dell’Italia. La FIOM cacciata fisicamente dalle fabbriche (si smantellano in quei giorni anche le bacheche interne che espongono L’Unità), si appella alla Costituzione e ai diritti sanciti nei suoi articoli e solo così anni dopo riesce a rientrare in fabbrica: la sentenza le dà ragione e alle elezioni in fabbrica del 2015 nonostante il tentativo di pulizia etnica riesce a vincerle e arriva prima quasi dappertutto. Solo grazie alla Costituzione Repubblicana… Bersaglio del Report della JP Morgan, la tutela costituita dall’articolo 18 viene svuotata di ogni efficacia per due volte di seguito prima dal governo
Monti e poi da quello Renzi che conclude il lavoro, vanificando di fatto le garanzie costituzionali nei posti di lavoro per gli assunti con il nuovo contratto. Una contro riforma definita con sprezzo del ridicolo “job act” e un tipo di contratto senza garanzie contro i licenziamenti arbitrari, definito niente po pò di meno che “a tutele crescenti”. In cui gli unici a essere tutelati sono i datori di lavoro per i quali sono previsti lauti sgravi fiscali nel caso si avvalgano di questa forma contrattuale per le loro assunzioni. Per venire all’Italikum, la “Riforma elettorale” che prevede un rafforzamento dell’esecutivo tale per cui se nessun partito arriva al 40 % dei voti si va al ballottaggio tra i primi due in cui chiunque prenda un voto in più, qualsiasi sia il numero dei votanti, e qualsiasi sia la percentuale si aggiudica la maggior parte dei seggi alla camera, e può eleggere il governo e i suoi Ministri, il capo del governo, il il capo dello Stato i giudici della corte costituzionale, in un decisionismo senza contrappesi e senza controlli. Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma costituzionale) con quasi la metà di “nominati”, non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali. Una legge elettorale, oltretutto, che contiene un differimento dell’entrata in vigore a più di un anno, contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi particolari.
Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività. Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza, sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione (in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della governabilità). E’ nostra opinione che con la “Riforma” del Senato e con l’approvazione della nuova legge elettorale si sia realizzato un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico regolato fino a ieri dalla Costituzione nata dalla Resistenza.

Roberto Cenati
Presidente Provinciale ANPI Pochi giorni fa ricorreva il 69° anniversario della nascita della nostra Repubblica. Il 2 Giugno segna una data di estrema importanza per il nostro Paese: la vittoria della Repubblica, frutto della Resistenza e della guerra di liberazione. E’ stata la conclusione coerente di una lotta che ha liberato l’Italia non solo dal fascismo, ma dalla monarchia, responsabile dell’avvento al potere del fascismo, delle leggi antisemite del 1938, dell’entrata in guerra dell’Italia e delle tragedie che hanno devastato il nostro Paese. Fascismo e monarchia insieme avevano imposto la loro volontà al Paese ed insieme dovevano essere condannati. “La vittoria della repubblica – osservava un grande antifascista, Giorgio Amendola – ha rappresentato il miglior elemento di rottura della continuità dello stato italiano che si sia verificato nella crisi politica determinata dalla sconfitta della guerra fascista. La caduta della monarchia ha eliminato un centro di riorganizzazione, che poteva con il suo prestigio coprire eventuali tentativi di ritorni reazionari” e, sottolineava acutamente Giorgio Amendola: “La lotta unitaria del popolo italiano è riuscita a stroncare efficacemente i tentativi reazionari, succedutisi nel secondo dopoguerra, anche perchè ha potuto svolgersi su un nuovo terreno, quello creato dalla Repubblica e dalla Costituzione, senza che potesse intervenire in campo, contro la democrazia, un’autorità costituita e sovrana come la monarchia”.
Costituzione e riconquista del principio di uguaglianza civile e politica
Il voto repubblicano del 2 giugno 1946 aveva dato la vittoria alla parte più avanzata dell’Italia, a quella parte che aveva assimilato lo spirito della Resistenza e che voleva una Repubblica di progresso, democratica, dove ai lavoratori per primi fosse riconosciuto il ruolo di protagonisti della nuova società, che si erano conquistati. La nostra Costituzione è nata da una risoluta presa di posizione contro il passato, da una forte tensione polemica. E in questo caso, il nemico da abbattere aveva un nome: fascismo. Il principio di uguaglianza civile e politica era stato faticosamente conquistato dal movimento democratico nell’età liberale, benché nemmeno in quell’epoca si fosse realizzato compiutamente. Con il fascismo il principio di uguaglianza civile e politica fu radicalmente negato. Il regime fascista aveva introdotto fra i cittadini del nostro Paese delle distinzioni che infrangevano quel principio: basti pensare alle norme che imponevano, per l’ammissione ai pubblici impieghi, l’appartenenza al partito dominante o alle abominevoli leggi antisemite. Solo con la vittoria della Resistenza si è avuto il pieno riconoscimento delle libertà civili e politiche, a cominciare dal diritto di voto riconosciuto alle donne che tanta parte ebbero nella Resistenza. “Molti articoli della Costituzione – sottolineava
Alessandro Galante Garronerivelano la preoccupazione, sentita dai Costituenti, di non ricadere negli errori e nelle vergogne del recente passato, di predisporre le acconce difese. Ma nella Costituzione appare anche la volontà, l’impegno di trasformare il presente, di camminare in una certa direzione. In un senso e nell’altro – come polemica contro il passato, e come impegno per l’avvenire – la Costituzione è nata dalla Resistenza. La quale, nelle sue ispirazioni più consapevoli, non si propose soltanto di abbattere un regime, ma ebbe di mira un nuovo Stato, una nuova società”. “I fini costituzionali – conclude Alessandro Galante Garrone – coincidono dunque con gli ideali della Resistenza.”
Le radici della Costituzione
Le radici della Costituzione e la profonda volontà di cambiamento si ritrovano in numerosi documenti resistenziali, come nelle piattaforme dei Gruppi di Difesa della Donna, sorti nel novembre del 1943 a Milano. In esse non solo si proponevano forme di mobilitazione contro il regime nazifascista ma si enunciavano numerose rivendicazioni che poi verranno recepite nella Carta Costituzionale (affermazione di una serie di diritti in tema di lavoro, parità uomo-donna, salute, istruzione, formazione professionale, accesso alla politica). Il ruolo delle donne, che conquistarono il diritto di voto partecipando alla Lotta di Liberazione, è stato fondamentale nella Resistenza. E lo spirito stesso della Resistenza che fu guerra alla guerra, aspirazione ad un mondo di pace finalmente risanato dalla piaga del nazionalismo all’origine della  Prima e della Seconda Guerra Mondiale, trova la sua più chiara esplicitazione nell’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ma il mondo di pace sognato dai resistenti è rimasto un obiettivo ancora da raggiungere se pensiamo ai sanguinosi conflitti disseminati sul nostro pianeta, sul nostro stesso continente, allo sconvolgimento e alle guerre che si registrano nei paesi del Medio Oriente e alla fuga dai conflitti delle migliaia di immigrati che cercano disperatamente rifugio nel nostro Paese, trovando molto spesso la fine delle loro speranze nel mare Mediterraneo.
Il lavoro nella Costituzione.
Il lavoro, a partire dall’articolo 1, viene considerato come fondamento stesso della Repubblica, come diritto di tutti i cittadini; altrettanto fondamentale è il concetto che la libertà e l’eguaglianza, per essere tali, debbono esistere non solo di diritto, ma di fatto, e cioè realizzarsi mediante una trasformazione economica della società, che renda effettivi i diritti riconosciuti a ogni individuo. Senza uguaglianza non c’è libertà, e la libertà e l’uguaglianza restano vuote formule se lo Stato non assolve al suo preciso dovere di eliminare ogni impedimento sociale ed economico che possa ostacolarle. E’ lo Stato che deve intervenire sul piano economico e sociale per rendere possibile quel massimo traguardo di democrazia. Che oggi in Italia questi principi siano già stati compiutamente tradotti in realtà, nessuno oserebbe affermarlo. Ma è altrettanto certo che questa è la Repubblica democratica che la Costituzione ci impone di realizzare. Nella Costituzione non ci si limita ad affermare che senza uguaglianza non c’è libertà ma ci si è preoccupati di consentire che tutti i lavoratori partecipino alla vita del paese, alla gestione della cosa pubblica. Sono di nuovo i lavoratori, protagonisti degli scioperi del 1943 e del marzo 1944 ad essere additati come i protagonisti principali dell’organizzazione della società. Si delinea nella Costituzione repubblicana un concetto di partecipazione che confligge pertanto con i progetti di rafforzamento del potere esecutivo.
I rischi di scardinamento della Costituzione
Una prima osservazione da avanzare, in tema di riforme istituzionali, è che le eventuali revisioni costituzionali sarebbero varate da un Parlamento di non eletti, ma di designati dai partiti, grazie ad una legge elettorale dichiarata incostituzionale. La Costituzione sta correndo un grave rischio. Lo si può dedurre dalle dichiarazioni molto chiare dell’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta che il 29 maggio 2013 sosteneva: “Oggi dobbiamo dirci che abbiamo di fronte una grande opportunità: l’opportunità di iniziare un percorso che ci porti a cambiare la nostra Costituzione nelle parti che l’hanno resa oggi non adeguata allo spirito dei tempi e alla necessità di efficacia e rapidità nelle decisioni che il nostro sistema richiede. Se abbiamo istituzioni che non riescono a decidere, il risultato è l’abbassamento del tasso di competitività del nostro sistema. Questo è uno degli elementi che ci sprona ad affrontare la questione con la massima urgenza”. Anzichè parlare di attuazione della Costituzione si sostiene la tesi di una sua modernizzazione, per adeguare la nostra Carta alle necessità del mercato e della competitività. E’ questa una tesi non lontana da quanto si affermava in un recente documento della banca d’affari Morgan. Nel documento vengono espressi quelli che sono i sogni dei finanzieri: uno stato che funzioni come un’azienda: basta con la divisione dei poteri, basta con le protezioni del lavoro, basta con le Costituzioni antifasciste contaminate dalle idee socialiste. In un momento critico della storia recente il cancelliere Willy Brandt così disse, il 28 ottobre 1969: “Quel che vogliamo è osare più democrazia” e promise metodi di governo “più aperti ai bisogni di critica e informazione” espressi dalla società, “più discussioni in Parlamento” e una permanente “concertazione con i gruppi rappresentativi del popolo, in modo che ogni cittadino abbia la possibilità di contribuire attivamente alla riforma dello Stato e della società”. Non si muovono certamente in questa direzione la nuova legge elettorale e le revisioni della Costituzione portate avanti dal Governo Renzi. Il Presidente del Senato Pietro Grasso in un’intervista al quotidiano “la Repubblica” del 30 marzo 2014 osservava: “Con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza e una sola Camera politica, il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta.”
Superamento del bicameralismo perfetto
Vi è la necessità, generalmente riconosciuta, di eliminare il bicameralismo “perfetto” anche se bisogna riconoscere che la storia di questi anni ci fornisce solidi esempi di situazioni in cui “le correzioni” da parte dell’altra Camera, rispetto a quella che per prima aveva deliberato, sono state positive ed addirittura determinanti. Siamo per il superamento del bicameralismo perfetto, anche se qualche considerazione deve essere fatta, a questo proposito. La rapidità, la velocità è un bene che l’esistenza di due Camere non ha mai danneggiato, come molti sostengono, ma come i dati smentiscono. Nel 1970 vengono approvate le leggi sullo Statuto dei Lavoratori, sull’ordinamento regionale e sul divorzio. E negli anni successivi seguiranno quelle sulla parità tra donne e uomini nei luoghi di lavoro, sulla riforma del diritto di famiglia, sulla fissazione a 18 anni della maggiore età, sulla chiusura dei manicomi, sull’interruzione di gravidanza, sull’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Tutto questo avvenne, grazie alla mobilitazione del mondo del lavoro e delle forze democratiche, in presenza di un sistema parlamentare bicamerale e in un periodo in cui il percorso parlamentare delle leggi era più accidentato di oggi. Ma la politica allora era dotata di progettualità, attenta alla società, ai suoi bisogni, alla cultura, ai diritti. La rivoluzione dei diritti ha attraversato gli anni settanta e ci ha consegnato un’Italia più civile.
Disegno di legge Costituzionale
L’8 aprile 2014 è stato presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri (RENZI) e dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento (BOSCHI) il disegno di legge costituzionale. “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”.

Revisioni costituzionali e metodo adottato
Una riforma costituzionale di grande peso, come quella che attiene alla eliminazione o trasformazione di una delle due Camere, non può essere neppure concepita per semplici ragioni di risparmio di spesa, come frequentemente si sostiene. Il problema è quello della funzionalità, non quello dei costi. Una riforma importante, come quella del Senato, richiede anzitutto conoscenza dei problemi che si pongono e dei loro risvolti su tutto il sistema disegnato dalla Costituzione: ma richiede soprattutto riflessioni approfondite, con la determinazione necessaria per arrivare in fondo, ma anche con i tempi necessari perché tutto venga fatto a ragion veduta e appunto con la massima ponderazione Non a caso, il legislatore costituente ha richiesto (art. 138) due letture per ogni Camera, con un intervallo di tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione. Si voleva, in sostanza, garantire riflessione, eventuali ripensamenti, adeguati contatti col mondo della esperienza giuridico costituzionale. Imporre accelerazioni eccessive nuoce di per sé al lavoro e soprattutto alla bontà dei risultati. Respinta ogni ipotesi di improvvisazione, sarebbe stato necessario puntare su una diffusa partecipazione al lavoro di riforma, da parte dei parlamentari, da parte dei partiti e da parte dei cittadini. Una partecipazione che deve, per la delicatezza della materia, essere consapevole.
Bisogna che ognuno dei partecipanti conosca il problema, le difficoltà e le soluzioni possibili, senza semplificazioni e senza “conformismi”, che significano adeguarsi alla volontà del Governo o della maggioranza, senza porsi nessun problema. E’ opportuno, infine, ricordare che sulle riforme costituzionali la parola spetta in primis al Parlamento. Il Governo dovrebbe esprimere un parere conclusivo, su un progetto e non presentarlo alle Camere e imporre i propri tempi, proprio per la ragione essenziale che il problema dovrebbe essere sottratto al dominio della contingenza politica e delle scelte governative, pena lo stravolgimento del sistema che vige nella nostra Repubblica.
Funzioni della Camera e del Senato
L’asse portante della riforma Boschi riguarda la fine del bicameralismo perfetto, per cui il Senato, non più elettivo, non voterà più la fiducia al governo e voterà le leggi insieme alla Camera solo in alcuni casi. Inoltre, non potrà più deliberare lo stato di guerra, né esprimersi sulla concessione di amnistia e indulto, né infine concedere l’autorizzazione preventiva nei confronti del premier e dei ministri nel caso in cui siano sottoposti a inchieste «per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni». Tutte queste prerogative saranno riservate solo alla Camera. Nell’architettura costituzionale delineata dal provvedimento alla Camera dei Deputati- che “rappresenta la Nazione” e di cui è immodificata la composizione – spetta la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del Governo. La Camera è competente ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali, ad eccezione di quelli relativi all’appartenenza dell’Italia all’UE, che rientrano tra i casi di approvazione bicamerale. Alla Camera è attribuita la competenza ad assumere la deliberazione dello stato di guerra, a maggioranza assoluta. Attribuirle anche questa “esclusiva” senza neppure limitarne i poteri con la previsione di una maggioranza particolarmente qualificata, costituisce davvero un assurdo e un pericolo. Per quanto riguarda le leggi di bilancio la Camera ha l’ultima parola a maggioranza semplice, anche a fronte di eventuali rilievi del Senato.
Al Senato della Repubblica è attribuita la funzione di rappresentanza degli enti territoriali.  
Il Senato previsto dalla riforma votata in prima lettura al Senato l’8 agosto 2014 e alla Camera il 10 marzo 2015 non può razionalmente essere definito Senato delle autonomie e, forse, non può essere definito in alcun modo, fatto com’è di componenti non eletti, destinati a svolgere poche funzioni. Cento saranno i senatori (95 nominati dai Consigli regionali e 5 dal Presidente della Repubblica). Il potere di istituire Commissioni di inchiesta viene mantenuto sia in capo alla Camera sia al Senato, peraltro limitato, per quest’ultimo, a inchieste su materie di pubblico interesse “concernenti le autonomie territoriali”. Il Senato dovrebbe invece avere il compito di controllare l’attività della pubblica amministrazione, governo compreso. Resta ferma la previsione che attribuisce al Parlamento in seduta comune l’elezione del Presidente della Repubblica. Il Senato mantiene insieme alla Camera la funzione legislativa per quanto riguarda le leggi di revisione della Costituzione.
Abolizione sostanziale del Senato
Per quanto riguarda le riforme costituzionali, anziché limitarsi a differenziare le funzioni delle due Camere, si è puntato su una sostanziale “abolizione” del Senato, ridotto – per mancanza di una vera elettività e di significative funzioni – ad un rango accessorio ed ininfluente. Ancora più necessario è modificare il testo di legge per quanto riguarda l’elezione dei senatori. La riforma prevede che siano designati dai Consigli regionali. Senatori saranno anche i sindaci dei capoluoghi di regione. Qui c’è un’incoerenza di estrema gravità: un organo preposto alla vigilanza sulle Regioni i cui membri sono eletti da chi dovrebbe essere da quell’organo controllato, anziché dal popolo sovrano. Ancora una volta, dunque, è la concezione della democrazia ad entrare in gioco. E’ dunque questa concezione che va modificata, cosi come occorre che venga finalmente e seriamente “rigenerata” la politica; perché in questo si può ravvisare la soluzione del problema assai grave che oggi affligge il nostro Paese: la disaffezione verso la politica, il distacco dalle istituzioni, l’indifferenza e la rassegnazione di tanti (troppi) cittadini.
Elogio della stabilità e della governabilità
Il problema della governabilità e della rapidità delle decisioni costituiscono le fondamenta delle riforme, o meglio delle controriforme istituzionali. Nel discorso tenuto al Senato il 2 ottobre 2013, il Presidente Letta, allora in carica, ha tessuto l’elogio della stabilità, con queste parole: “Più e più volte in questi mesi mi avete ascoltato tessere in Italia e all’estero l’elogio della stabilità: stabilità intesa come valore assoluto, da perseguire e alimentare ora dopo ora. È evidente a chiunque che le politiche per la crescita, che necessitano di un lungo respiro perché chi le attua sono possibili solo con una prospettiva temporale ragionevole e con Governi stabili.” Per governare efficacemente nel XXI secolo – questa è la tesi del governo Renzi – serve soprattutto velocità: approvazione o bocciatura rapida dei disegni di legge. Ernesto Galli Della Loggia, così scriveva sul “Corriere della Sera” del 29 dicembre 2013: “Non si capì nel 1919-22 che una delle principali cause della vittoria del fascismo era stata non tanto la violenza squadristica, ma l’esistenza di governi deboli. La migliore garanzia, dunque, contro il ripetersi della storia era una Costituzione volta a dar vita a esecutivi stabili e dotati dei poteri necessari per governare”.
Il ricorso frequentissimo ai voti di fiducia si risolve in una restrizione della libertà di discussione in Parlamento, il cui ruolo risulta sempre più mortificato. Lo stesso va detto per la frequenza eccessiva dei decreti legge e soprattutto delle leggi delegate. L’articolo 76 della Costituzione prevede: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.” Se la delega è troppo generica vengono devoluti al Governo poteri eccessivi, a danno del Parlamento e della rappresentanza. La delega concessa al governo su un tema delicatissimo, come quello del lavoro è stata molto ampia. I Parlamentari, secondo il governo, devono votare tenendo conto della disciplina di partito e non dell’articolo 67 della Costituzione nel quale si legge ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Legge elettorale
Con la nuova legge elettorale il premio di maggioranza (55% dei seggi) scatta col 40 per cento dei voti conseguiti. Se le percentuali sono di meno, i primi due partiti vanno al ballottaggio, dove, molto probabilmente, i voti saranno in cifra assoluta molto minori del primo turno. Sarà quindi una piccola minoranza del popolo sovrano a consegnare il potere al partito vincente (si costituirà un governo monocolore) tenendo conto che gli astenuti saranno il 40 per cento e anche di più. Si registra quindi un allontanamento da un genuino sistema parlamentare in favore del potere personale di colui che conquista la carica di primo ministro. Gli elettori avrebbero soltanto un residuale potere di esprimere i propri rappresentanti, in quanto sarebbero 200 i nominati dai partiti. Non sarebbero soltanto i 100 capolista che si presentano in tre circoscrizioni e se risultano eletti in più di una optano lasciando il posto a chi viene dopo nella lista, anche lui scelto centralmente. L’abolizione del Senato, non più elettivo, indebolisce ulteriormente il potere legislativo a vantaggio di un esecutivo che si concentra nelle mani di un capo che comanda da solo. In questo modo si passerebbe da una democrazia parlamentare ad una democrazia esecutiva, estremamente pericolosa in un Paese come il nostro. In una recente intervista pubblicata in un libro appena uscito ‘Missione incompiuta’, Romano Prodi, ricorda di avere scommesso che Berlusconi, appena entrato in politica, avrebbe vinto le elezioni. “Sentivo – osserva Prodi, che c’era questo desiderio di pensare che nuove, infinite energie avrebbero risolto tutti i problemi. E quindi la voglia di affidarsi a un che ti rende facile la vita. Ci sono momenti storici in cui l’Italia ha bisogno di un’auto illusione ed è disposta a non guardare per nulla dentro se stessa pur di continuare a illudersi. Attraversiamo spesso questi momenti della nostra storia nazionale…”

Voto a data certa e decretazione d’urgenza
Al fine di rafforzare l’incidenza del Governo nel procedimento legislativo, il progetto di riforma costituzionale presentato dal Governo Renzi riconosce all’esecutivo il potere di chiedere che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della stessa entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione, ulteriormente prorogabili per non oltre quindici giorni (cosiddetto istituto del voto a data certa).
La divisione dei poteri.
I problemi che abbiamo di fronte sono difficili e complessi e richiedono, impegno, rispetto dei principi, delle regole e della impalcatura costituzionale fondata sull’equilibrio e la divisione dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia repubblicana. La teoria della separazione dei poteri ha remoti antecedenti dottrinali che risalgono sino ad Aristotele; ma solo con Montesquieu essa ricevette la formulazione rimasta poi tradizionale e acquistò un’immensa importanza storica. Noi siamo perchè questo fondamentale equilibrio non sia turbato e sbilanciato a favore del potere esecutivo e del suo rafforzamento: come ANPI siamo sempre stati e saremo contro ogni ipotesi di repubblica presidenziale o semipresidenziale, ipotesi scartata dalla Assemblea Costituente per il timore del ripetersi di pericolose involuzioni autoritarie in un Paese che già aveva sperimentato la dittatura fascista, ma che periodicamente riaffiora. Non si può pensare di superare la gravissima crisi recessiva oltre che etica che investe il nostro Paese stravolgendo l’impalcatura fondamentale della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, che va difesa ed attuata in tutte le sue parti.
Per cambiare il Paese bisogna applicare la Costituzione e non stravolgerla.
La centralità della questione sociale nella Costituzione In uno scritto del giugno 1945 dal titolo “Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente”, Piero Calamandrei affronta il problema della “soddisfazione dei diritti sociali” nella nuova Costituzione italiana e sostiene che la questione sociale “si presenta come la più importante e la più urgente delle questioni costituzionali: se veramente si vuol fondare una democrazia, a questa questione preliminare bisogna pur dare una risposta”. “Ma il problema vero – continua Calamandrei – non è quello della enumerazione di questi diritti: il problema vero è quello di predisporre i mezzi pratici per soddisfarli, di trovare il sistema economico che permetta di soddisfarli. Questo è, in tanta miseria che ci attornia, l’interrogativo tragico della ricostruzione sociale e politica italiana. Questo mi pare il problema centrale della costituente: questa dura necessità, imposta dalla situazione in cui l’Italia si trova, di dover essere non l’epilogo, ma il prologo di una rivoluzione sociale. Dovremo serenamente creare nella costituente lo strumento per aprire alla giustizia sociale le vie di un domani che noi potremo soltanto intravedere.”
Roberto Cenati Milano, 11 06 2015

avanti_w la repubblica
Hanno detto:
“…Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum, una legge sbagliata…” Ferruccio De Bortoli 01 05 2015
“… mi pare non sia il momento delle riflessioni serene, da rivedere e da ripensare c’è tanto. Ma oggi ci si muove per contrapposizioni e così non riusciremo a fare una riforma seria. La prima parte della Costituzione ha validità totale, la seconda non ha funzionato bene però non mettiamoci mano in modo SGUAIATO E SCOORDINATO perchè non si arriverebbe a capo di nulla. Ritengo che per questa modifica ci vorrebbe del tempo….” Romano Prodi 29 08 2015
“… L’Italicum mi pare molto simile al Porcellum. Ma il nodo principale è che questa legge cambia la forma di governo. Introduce il Presidenzialismo, dando tutto il potere a un uomo solo: e io c’ero quando comandava uno solo…”  Paolo Maddalena Presidente emerito della Corte Costituzionale 06 05 2015
“… farò una legge elettorale per scegliere direttamente gli eletti…” Matteo Renzi 03 04 2011
Ma una cosa è certa: il premierato, come il nostro presidente del Consiglio lo intende, non è compatibile con la democrazia parlamentare. Che ognuno si regoli come meglio crede. Eugenio Scalfari 03 04 2011
I precedenti
La Ministra Boschi non è stata la prima a imporre la fiducia su una legge elettorale: prima di lei lo avevano già fatto il Ministro dell’Interno Mario Scelba nel 1953 sulla cosiddetta “legge truffa” e il Governo Mussolini nel 1923 sulla legge Acerbo. L’articolo 72 della Costituzione prescrive che “la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale”.

 

Felice Carlo Besostri.
Coautore del ricorso per incostituzionalità del “porcellum” accolto dalla Corte Costituzionale

Il nuovo Senato
“…La novità più caratterizzante la revisione costituzionale ed anche la più controversa è la modifica della composizione del parlamento, che da bicamerale perfetto, cioè con eguali funzioni e competenze delle due Camere, passa ed essere sempre bicamerale, ma con forte differenziazione delle competenze e della stessa composizione. Nella Costituzione vigente l’art. 55 era composto di due soli commi: “Il Parlamento è composto dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica” e “Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione”. Ora l’art. 55 Cost. rev. (che sta per Costituzione Revisionata da qui in poi) è diventato di 6 commi, di cui solo il primo e l’ultimo coincidono con il testo vigente. Una prima leggenda è smentita dal testo, che il Senato dovesse essere abolito. Le Province erano ugualmente destinate alla soppressione, invece, la legge n. 50/2014 le ha lasciate in vita, ha semplicemente abolito l’elezione diretta dei loro organi da parte dei cittadini, come per il Senato, sostituendo i suffragio universale e diretto con voto personale, uguale, libero e segreto, con una elezione di secondo grado: nelle province e città metropolitane con sindaci e consiglieri comunali che si eleggono tra loro, mentre i senatori saranno consiglieri regionali o di Provincia Autonoma di Trento o di Bolzano o sindaci dei Comuni eletti dai rispettivi consigli regionali (art. 57 c.2 Cost. rev.).
Nelle future Camere ci sarà grazie all’ art. 55 c. 2 Cost. rev. una rappresentanza più equilibrata di uomini e donne, anzi nelle Province autonome di Trento e Bolzano, che grazie all’art. 57 c. 3 Cost. rev., avranno 2 senatori a testa dovremmo avere un uomo ed una donna, da scegliere tra i consiglieri o i sindaci. La Camera dei deputati, oltre che esercitare “la funzione legislativa e quella di controllo del Governo, è la sola titolare del rapporto di fiducia (art. 55 c.4 Cost. rev.). La titolarità del rapporto di fiducia giustificherebbe che la previsione dell’art. 67 Cost.: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” sia stato scisso nell’art. 55 c. 3 Cost. rev., “Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione” e l’art. 67 Cost. rev. “I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato”. I deputati sono rimasti 630, cioè senza modificare l’art. 56 c. 2 Cost. mentre i senatori passano dai 315 elettivi dell’art.57 c.2 Cost. a cento di cui 95 rappresentativi delle istituzioni territoriali (Regioni, Province autonome e Comuni, con esclusione delle Città metropolitane elette direttamente dai cittadini) e 5, che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica ex art. 57 c. 1 Cost. rev., scelti questi ultimi tra “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti, nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (art. 59 c.1, primo periodo Cost. rev.). Gli antichi senatori a vita previsti dall’art. 59 c. 2, sempre in mumero di 5 e di nomina presidenziale sono sostituiti da senatori che “durano in carica sette anni e non possono essere nuovamente nominati”( art. 59 c. 1, secondo periodo Cost. rev.).
Si è detto da chi sono eletti i senatori, qualche parola sul metodo di elezione. L’art. 57 c. 2 Cost. rev, prevede una elezione “con metodo proporzionale” in forza di una “legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio” (art. 57 c. 6 Cost. rev.). Una norma che non è esempio di chiarezza e che non tiene conto che la composizione dei Consigli regionali è condizionata da leggi elettorali regionali fortemente maggioritarie con premi di maggioranza pari al 60% dei seggi o anche superiori se si conteggiasse il seggio del Presidente della Regione, soglie di accesso anche superiori al 5% e obbligo di presentazione in un numero di circoscrizioni, dalle due della Liguria alle sei della Sardegna e fino alle nove della Toscana. I nuovi senatori saranno sì rappresentanti delle istituzioni territoriali come prevede l’art. 55 c. 5 Cost. rev., ma non della loro popolazione. La legge elettorale per il Senato essendo di competenza di entrambe le Camere avrebbe dovuto essere votata dalle Camere nella Composizione attuale, con il rischio, in caso di scioglimento delle Camere che non si avesse una legge per il Senato. A questo possibile impasse si è posto rimedio con l’art. 39 commi 1-6 del ddl costituzionale, che detta disposizioni transitorie, dalle quali si evince che la revisione costituzionale darà luogo allo scioglimento delle Camere a breve distanza dalla sua approvazione dopo un probabile referendum confermativo, in quanto allo stato non è prevedibile una sua approvazione con una maggioranza pari ai due terzi in ciascun ramo del Parlamento per escludere il referendum ai sensi dell’art.. 138 c. 3. La differenziazione delle funzioni si estende al processo legislativo, che non è più paritario, cioè l’approvazione in identico testo della legge: ”La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” (art. 70). Nell’art. 55 c. 5 Cost. rev. Il Senato “Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e con le modalità dalla Costituzione, nonché alle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione europea.”. Come Enti Costitutivi della Repubblica, nella Costituzione sono identificati nell’art. 114 in Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, con l’approvazione della revisione sarebbero Comuni, Province autonome di Trento e Bolzano, Regioni e Stato.
Non è semplice ricostruire le future competenze del Senato nella formulazione dell’art. 70 Cost. rev.: “ La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la  tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città Metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57 sesto comma, 80 secondo periodo, 114 terzo comma, 116 terzo comma, 117 quinto e nono comma, 119 sesto comma, 120 secondo comma, 122primo comma, e 132 secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.”
Proprio la partecipazione paritaria del Senato ai processi di revisione della Costituzione e all’approvazione delle leggi costituzionali, tra le quali non dimentichiamo ci sono gli Statuti delle Regioni autonome ex art. 116 c.1, rende discutibile la scelta di un’elezione indiretta riservata ad un corpo ristretto di elettori, di poco superiore ad un migliaio di consiglieri, che non rappresentano più individualmente la Nazione come prevede l’art. 67 ma “il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali”(art. 55 c.5 Cost.rev.). E’ vero che per l’art 67 Cost. rev. per tutti i parlamentari non esiste vincolo di mandato, ma possiamo pensare che sarebbero in conflitto di interessi se l’interesse della Nazione richiedesse la riduzione del numero delle Regioni. Ogni volta che sono in gioco competenze regionali o comunali il Senato partecipa al procedimento legislativo con le stesse competenze della Camera, ma il suo intervento nella legislazione non si esaurisce in quelle materie enumerate nell’art. 70 c.1 Cost.rev.. Infatti ha facoltà di intervenire anche nelle materie di competenza della Camera ai sensi del c. 3 dell’art. 70 Cost.rev. : “Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.”.
A complicare l’iter, anche se lascia l’ultima parola alla Camera, ai sensi dei commi 4 e 5 del sopracitato articolo 70 se le proposte di modifica del Senato sono state adottate con la maggioranza assoluta dei suoi componenti in materia di leggi di bilancio la Camera per superarle deve procedere a maggioranza assoluta. Questo in teoria, ma in pratica ai senatori sarà difficile incidere significativamente in considerazione del fatto che devono occuparsi delle loro Regioni e dei loro Comuni e che la loro durata in carica non coinciderà con quella quinquennale dei deputati. Molto dipenderà da quanto prevedrà il Regolamento del Senato, che può porre limiti all’assunzione di responsabilità negli organismi del Senato, Presidenza del Senato e delle Commissioni, da parte di chi ricopra incarichi a livello regionale o locale (art. 63 Cost. rev.). Aver escluso che possano diventare senatori i sindaci metropolitani eletti direttamente dagli elettori, tiene conto che un Sindaco di grande città non potrebbe esercitare la doppia funzione. Tutte queste criticità che sono state evidenziate sono un problema da affrontare: forse non è un caso che il ddl costituzionale di revisione della Costituzione non sia ancora stato calendarizzato.
Milano, 01/06/2015 per il periodico A.N.P.I.
Patria indipendente

La distribuzione del premio nelle circoscrizioni deriva dalla Casualità DI UN ALGORITMO influenzato dalla PARTECIPAZIONE ELETTORALE e dall’entità dei voti per liste sotto soglia nei collegi e nelle circoscrizioni, da cui le pluri-candidature dei capilista, perché Alfano non è certo di essere eletto a Palermo anche se in quel collegio avesse il miglior voto in assoluto ed in percentuale del NCD.

Felice Carlo Besostri.
Coautore del ricorso per incostituzionalità del “porcellum” accolto dalla Corte Costituzionale

Perchè Italikum è incostituzionale
Primo: è una legge per un solo ramo del parlamento, non ha senso sacrificare la rappresentanza per favorire la governabilità in un solo ramo del parlamento quando la fiducia deve essere votata dai due rami.
Secondo: premio di maggioranza abnorme e per di più indirettamente proporzionale al consenso sia al primo turno, che specialmente al ballottaggio. La distribuzione del premio di maggioranza nelle circoscrizioni deriva dalla Casualità di un algoritmo influenzato dalla PARTECIPAZIONE ELETTORALE e dall’entità dei voti per le liste sotto soglia nei collegi e nelle circoscrizioni, da cui le pluricandidature dei capilista: Per fare un esempio Alfano non è certo di essere eletto a Palermo anche se in quel collegio avesse il miglior voto in assoluto ed in percentuale del NCD.
Terzo: il ballottaggio non prevede una soglia minima di accesso al premio di maggioranza delle liste ammesse. Al ballottaggio vanno le prime due liste indipendentemente da quanto rappresentino in percentuale dei voti validi o degli aventi diritto.
Quarto: per primo e secondo turno assenza di ogni parametro di partecipazione al voto rispetto agli aventi diritto.
Quinto: Riserva di legge di 12 parlamentari a Val d’Aosta e Trentino Alto Adige con legge ordinaria: lo stesso numero di parlamentari previsto per gli italiani all’estero ma in questo caso con norma costituzionale. Le modalità di voto non sono uguali per cui gli italiani all’estero con 12 seggi eleggono comunque al primo turno ma di essi non si tiene conto al fine del premio di maggioranza. Sia italiani all’Estero che valdostani e trentin-altoatesini sudtirolesi eleggono al primo turno la loro rappresentanza ma se c’è ballottaggio i valdostani trentin altoatesini sudtirolesi partecipano al secondo turno, gli italiani all’estero no. Il voto degli italiani all’estero non si conta per premio di maggioranza quindi le liste collegate possono superare i 340 seggi.
Sesto: sempre il premio di maggioranza viola il voto diretto e personale perché l’elezione non dipende dalla scelta degli elettori della circoscrizione dove sei candidato.
Settimo: privilegio capilista, voto non diretto e personale, violazione art.51 Cost in violazione art.3 Cost. ed in assenza di una legge sui partiti politici ex art. 49 Cost.

Stefano Rodotà
“Così stravolgono anche la forma republicana”
Intervista al quotidiano Il fatto 10 marzo 2015

E dunque, nonostante i Nazareni tramontati e i mal di pancia dei dissidenti Pd, si va verso la riforma del Senato. “Questa riforma è un cambiamento radicale del sistema politico-istituzionale: cambia la forma di governo e viene toccata la forma di Stato”, spiega Stefano Rodotà, emerito di diritto civile alla Sapienza “E dire che si sarebbe dovuto procedere con la massima cautela: questo Parlamento è politicamente delegittimato dalla sentenza della Consulta. Invece si è scelto di andare avanti imponendo un punto di vista non rivolto al Parlamento, ma a un patto privato, il Nazareno”.
Lei – come altri “professoroni” – è stato da subito molto critico“La riforma è un’occasione perduta: la discussione che all’inizio era stata generata dalle proposte del governo, aveva determinato una serie di indicazioni che non erano tese all’immobilismo, ma partivano da due premesse. Il Titolo V è stato un disastro e il bicameralismo perfetto non può essere mantenuto: si poteva inventare – era possibile – una forma di organizzazione che concentrasse il voto di fiducia nella Camera superando il sistema attuale, creando nuovi equilibri e controlli e non scardinando la Repubblica parlamentare voluta dalla Costituzione. Ora si comincia ad avere la consapevolezza di ciò che sta accadendo.
Molti tra quelli che avevano detto “non esageriamo, non si dica svolta autoritaria” stanno cambiando idea. Si parla di un’Italia a rischio “democratura”, di tendenze plebiscitarie, di deperimento del sistema dei controlli. Se ne sono accorti un po’ tardi”. L’Italia non sarà più una Repubblica parlamentare? “Formalmente resterà tale, ma ci sarà un accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo e della Presidenza del Consiglio e insieme una depressione di ogni forma di controllo. Non dimentichiamo mai che questa riforma è accompagnata da una proposta di legge elettorale che costruisce una maggioranza artificiale nell’altra Camera: Montecitorio diventerà un luogo di ratifica delle decisioni del governo”. Lei dice: “Si tocca anche la forma di Stato”: cambierà l’equilibrio tra governanti e governati? L’ultimo articolo della Carta dice che la forma repubblicana non è modificabile. Non vuol dire solo che non si può tornare alla monarchia: si vuol dire che la forma di Stato delineata dalla Costituzione – una delle nuove costituzioni del Dopoguerra, segnata dal passaggio da Stato di diritto a Stato costituzionale dei diritti – è una combinazione tra repubblica parlamentare e repubblica dei diritti. Se si abbandona questa strada, si rischia di uscire dall’art. 139 modificando la forma repubblicana, ritenuta invece un limite invalicabile. I richiami sulla gravità di questo passaggio sono stati trascurati? Assolutamente sì, tanto che oggi siamo alla fine di un iter molto preoccupante perché nasce dalla cultura della decisione. In questi anni decidere è stato considerato l’unico imperativo. Di fatto, si sono già modificati i rapporti tra governo, parlamento e partiti. Basta vedere quante leggi per decreto, o le indiscrezioni sulla riforma della Rai. C’è già una trasformazione del sistema. L’abuso della decretazione ha una lunga storia in Italia, ma il decreto legge è stato impugnato come un’arma, dicendo “è l’unico modo che consente di decidere”. Sulla Rai c’è un punto fermo rappresentato da una sentenza della Consulta che ha esplicitamente detto che la Rai è affare di parlamento e non di governo. Comunque se il controllo parlamentare avrà le caratteristiche derivate dal combinato disposto di riforme e Italicum, quel Parlamento non sarà altro che la prosecuzione dell’esecutivo: la designazione da parte del governo di un amministratore delegato, non troverà nel Parlamento nessuna forma di controllo. Anche sul Jobs Act, il governo non ha tenuto in considerazione il parere delle commissioni Lavoro, contrarie a inserire nel testo i licenziamenti collettivi. La crescente delegittimazione del Parlamento è evidente. Il tema del licenziamento collettivo non è un fatto marginale, cambia la qualità della disciplina del licenziamento. Il parere delle commissioni non era vincolante certo, ma la domanda è: il governo tiene conto del parere del Parlamento? La risposta è: no. La questione centrale della riforma come dell’Italicum – sottolineata anche dai giudici della Consulta sul Porcellum – è la rappresentanza dei cittadini. Ci sono molti dubbi anche sull’Italicum: la Corte dice chiaramente che l’obiettivo è ricostituire le condizioni della rappresentanza. Aggiungo: sei mesi prima della sentenza sul Porcellum, la Corte si era espressa a favore della Fiom contro la Fiat sulla rappresentanza dei lavoratori nelle commissioni. Voglio dire: la Consulta afferma a diversi livelli che una delle caratteristiche del nostro sistema è la garanzia della rappresentanza. Renzi ha detto che con il referendum decideranno i cittadini. Vorrei far notare che questo è un potere dei cittadini, previsto dalla Carta, non una concessione del governo. Ora viene adoperato per dire alla minoranza del Pd: non vi prendiamo in considerazione, decideranno i cittadini. Cioè di nuovo l’insignificanza del Parlamento.”

repubblica_avanti

Preoccupazione dell’ANPI per le “riforme”.
COMITATO NAZIONALE A.N.P.I.
10 luglio 2015

Il Comitato nazionale dell’ANPI esprime “viva preoccupazione per la riduzione degli spazi di democrazia e dell’effettività dei diritti”.

Questo il testo del documento diffuso oggi.

Il Comitato nazionale, nella riunione del 30 giugno 2015, ha preso in esame la situazione delle “riforme“  in Italia, decidendo di esprimere – al termine del dibattito – viva preoccupazione per l’andamento delle cose e per il rischio che gli spazi di democrazia, anziché ampliarsi, finiscano per ridursi, così come di alcuni diritti possa essere ridotta l’effettività; e ciò in un Paese che attraversa ancora una difficile situazione di crisi, non solo economica, ma anche politica e morale. Sulla legge elettorale, il giudizio dell’ANPI è sempre stato severo e tale resta anche dopo la definitiva approvazione (con la fiducia). La legge, così come è stata approvata, anche a prescindere dalla anomalia dell’entrata in vigore differita al luglio 2016, non appare conforme né al dettato costituzionale né agli interessi di un Paese democratico. Resta ancora un premio di maggioranza eccessivo e resta la possibilità che, dopo un ballottaggio, esso venga attribuito ad un partito che ha riscosso complessivamente troppo pochi voti per meritare un premio. Resta il problema dei “nominati” anziché eletti, con la possibilità per costoro, di candidarsi in più circoscrizioni. Resta la discussione se sia davvero preferibile assegnare il premio ad una lista anziché ad una coalizione; resta, il fatto che una effettiva, reale e piena rappresentanza non risulta in alcun modo garantita, così come non è garantito un vero esercizio della sovranità popolare.

Questa legge non è utile al Paese e non corrisponde all’interesse dei cittadini. È possibile che sia chiamata ad esprimersi la Corte Costituzionale; oppure che siano gli stessi cittadini a manifestare, nelle forme più opportune, il loro dissenso.

L’ANPI continua a ritenere che questa legge rappresenti un vulnus al sistema democratico, sicuramente da eliminare con sostanziali cambiamenti.

La riforma del Senato.
L’ANPI continua a ritenere che si tratti della sostanziale abolizione di uno dei rami del Parlamento, con cui si elimina un contropotere, essenziale per l’equilibrio previsto dal legislatore costituente. Vi erano modi assai più semplici e meno invasivi per correggere alcuni effetti del cosiddetto bicameralismo perfetto. Si è invece battuta un’altra strada, grave e pericolosa. Non è solo questione di elezione diretta, pur fondamentale è anche questione di contenuti, cioè di poteri. Così come sono stati configurati, essi sono troppi per un organismo sostanzialmente delegittimato e contemporaneamente troppo pochi rispetto a quello che occorrerebbe, per ottenere quell’essenziale equilibrio di poteri che è alla base della volontà espressa dalla Costituzione. Oltretutto, se davvero si vuol ridurre il numero dei parlamentari (ma per ragioni di funzionalità e non per venire incontro alla pressione dell’antipolitica) lo si faccia per entrambe le Camere. Tanto più che un Senato di 100 componenti non potrebbe avere un peso determinante anche nell’ipotesi di lavori congiunti con la Camera, così come questa resterebbe strutturata.
L’ANPI confida che si possa ancora correggere quella anomalia giuridico-istituzionale che si va costruendo; ed auspica che il Senato faccia fino in fondo il suo dovere di difesa dei princìpi e dei valori costituzionali.

ANPI Niguarda sezione Martiri Niguardesi.
Via Hermada 8 – anpiniguarda@gmail.com
tel. 02- 66108241 cell. 3311098844.