Recenti casi di amministratori pubblici sospesi dalle loro funzioni in forza di sentenze di condanna in primo grado e in un caso per fatti non attinenti alla carica ricoperta ha riaperto un dibattito sulla legge Severino, cioè, per non personalizzare, il dlgs. 31 dicembre 2012, n. 235, (G.U. 04.01.2013) – Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190. Si sono riproposti problemi sollevati in occasione della decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di Senatore della Repubblica alle ore 17.43 del 27 novembre 2013. L’aula aveva confermato la proposta della Giunta delle elezioni, presieduta dal sen. Stefàno, del precedente 4 ottobre 2013: una decisione che aveva anticipato, comunque, l’effetto automatico della condanna di Silvio Berlusconi con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale. Tuttavia si era prodotta un’incertezza in quanto la Corte di Cassazione pur sentenziando la colpevolezza il primo agosto 2013 aveva annullato con rinvio l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Una pena accessoria che sarebbe stata notevolmente ridotta dalla Corte d’appello di Milano il 19 ottobre 2013, rideterminandola in 2 anni, durata confermata in via definitiva dalla Cassazione il 18 marzo 2014.  Il dlgs. 235/2012 emanato a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190 non ha come presupposto la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, ma la condanna alla reclusione, come chiaramente si evince dall’art. 1[1] del dlgs. per deputati e senatori, dall’art. 4 per i candidati e parlamentari europei, dall’art. 6 per l’assunzione di incarichi di Governo.

Il dlgs. 235/2012 comincia a diventare incoerente quando si passa alle cariche previste dall’Art. 7 Incandidabilità alle elezioni regionali, che al comma 1 prevede che “ Non possono essere candidati alle elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali” coloro che siano stati condannati in via definitiva per una serie più dettagliata di reati, anche per periodi inferiori ai due anni.[2] Si tratta comunque di condanne in via definitiva, requisito che viene meno nel successivo art. 8 Sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali, già il titolo dell’articolo trae in inganno in quanto i soggetti in questione sono candidabili alle cariche regionali in quanto non condannati in via definitiva. Per di più la sospensione si applica non per tutti i reati dell’art. 7 ed anche per una condanna in primo grado nel caso del c. 1 lett.a) art.8, che deve essere stata confermata in appello per i casi della lett. b). Una disparità di trattamento soltanto teoricamente giustificabile alla luce della diversità delle situazioni rispetto ai parlamentari nazionali e europei, ma non per le cariche di governo. Altro elemento di differenziazione è che si tratti di sospensione (18 mesi iniziali prorogabili di altri 12 in caso di rigetto dell’appello) e non di decadenza. La violazione dell’art. 3 Cost. è in agguato, anche sotto il profilo dell’irragionevolezza tenendo conto della durata media dei processi e della durata dei mandati elettivi determinata in 5 anni per regioni, province e comuni.

Le stesse  incongruità si registrano per i casi regolati dal CAPO IV Incandidabilità alle cariche elettive negli enti locali, per di più con la vistosa omissione di norme per le città metropolitane, che pur previste dall’art. 114 Cost., come parti costitutive della Repubblica, sono state considerate dei fantasmi giuridici fino all’entrata in vigore della legge n. 56/2014, che resta, comunque, la famigerata Del Rio, malgrado il discutibile avallo della Corte Costituzionale con la recente sentenza n.50 depositata il 26 marzo 2015. Dunque malgrado la Severino, poiché le limitazioni del diritto di voto passivo ed attivo sono di stretta interpretazione un condannato può fare il sindaco metropolitano di elezione diretta e il consigliere metropolitano, sia pure a tempo perché se decade da consigliere comunale perde anche la qualità di consigliere metropolitano, ma non in caso di sospensione. Pensate che persino la Del Rio si è dimenticata di precisare che i ricorsi contro le elezioni delle Città metropolitane son esenti dal contributo unificato come quelle per il Parlamento Europeo, le Regioni, le Province ed i Comuni, perché si son dimenticate di nominarle nell’art. 126 del codice del processo amministrativo, approvato con dlgs n. 104/2010. Ne parlo perché la Severino nel regolamentare i ricorsi contro l’incandidabilità non ha pensato niente di meglio che stabilire che “Per i ricorsi avverso le decisioni di cui al comma 2 trova applicazione l’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361.”(art. 2, c. 3 dlgs. cit). Pensate si deve far ricorso, dopo le elezioni alla Giunta delle Elezioni, alla Giunta delle Elezioni della Camera per la quale ci si era vanamente candidati. L’imparzialità dei giudici è assicurata? Non credo visti i precedenti delle Giunte, che si sono distinte per non applicare la legge nelle elezioni del 2001 in particolare. Tutte e due le Giunte hanno dato il meglio di sé esaminando nel 2009 i ricorsi del cittadini elettore Franco Ragusa che aveva eccepito che la legge n. 270/2005 era incostituzionale. Ebbene all’unanimità hanno deciso che il Porcellum era costituzionalissimo[3].

A parte i nomi dei presidenti allora, prima del caso Berlusconi, i  nomi dei commissari partecipanti erano secretati, ma l’unanimità è significativa, più di tanti discorsi ed anche l’opinione che la Giunta delle elezioni del Senato espresse, sulla scorta della sentenza n. 259/2009 della Corte Cost., di avere il potere di rimettere questione incidentale di costituzionalità alla Corte Costituzionale, potere che negò, a mio avviso giustamente, di avere nella legislatura successiva. Il parlamento ed il governo si erano dimenticati che pochi anni prima nella stessa legislatura avevano a larghissima maggioranza approvato l’art. 44 della legge n. 69/2009, che  al c. 2 lett. d)  delegava il governo a “ razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione in entrambi i gradi e introducendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni;”.

Finalmente gli atti del procedimento elettorale preparatorio, che comprendono le ammissioni delle liste e dei candidati sarebbero state affidate ad un giudice naturale precostituito per legge, dopo essere state sottratte alla giurisdizione civile o amministrativa da una compiacente interpretazione estensiva dell’art. 66 Cost. delle Sezioni Unite della Cassazione. Lo strumento che aveva sottratto le leggi elettorali al controllo di costituzionalità, perché ogni eccezione di costituzionalità, per quanto manifestamente fondata, non sarebbe mai stata rilevante ai fini del giudizio dal momento che il giudice declinava la giurisdizione e quindi non avrebbe emesso una sentenza nel merito. Paradossalmente fu il Governo Berlusconi, che in violazione dell’art. 76 Cost. decise di stralciarle dalla bozza di decreto legislativo predisposta dal Consiglio di Stato l’affidamento al TAR Lazio della giurisdizione esclusiva sul procedimento elettorale preparatorio. E’ il caso di dire con la crudeltà del proverbio “ chi è causa del suo mal pianga  se stesso” Berlusconi se avesse dato attuazione alla delega si sarebbe risparmiato la vana ricerca di un giudice che rimettesse la Severino alla Corte Costituzionale, né avrà maggior fortuna alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dopo che davanti alla Corte di Strasburgo gli agenti da lui nominati per difendere il Porcellum hanno sostenuto con successo che la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo non tutela i diritti politici, ma solo quelli civili (sentenza Saccomanni e altri del 13 marzo 2012).

Come rimediare? In caso di violazione di diritti fondamentali, se non si ritiene di concedere un accesso diretto alla Corte Costituzionale, come in Germania con il Verfassungsbeschwerde o in Spagna con il recurso de amparo constitucional, la soluzione è quella di istituire in Italia quel giudice previsto dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo all’art. 13 Diritto ad un ricorso effettivo, per il quale “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.” Un giudice che abbia il potere di sospendere, annullare, disapplicare gli atti in violazione dei diritti fondamentali ed anche di condannare al risarcimento in alternativa o in unione alla restitutio in integrum: un giudice nel quale concentrare la competenza per ogni violazione dei diritti fondamentali riconosciuti al Cittadino, finalmente scritto con la C maiuscola, dalla C.E.D.U., dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E. e dalla Costituzione. Se la Severino fosse modificata nell’interesse della “Casta”, o peggio ancora, virgola di questo o quello personaggio politico all’onore della cronaca, sarebbe un errore per quanto grosse siano le incongruenze, che si sono segnalate anche in questo scritto. La tutela dei diritti fondamentali del cittadini, che siano stati violati, è la sola via d’uscita, quale che sia l’esito del giudizio incidentale di costituzionalità promosso dal Tar Campania-Napoli con l’ordinanza n. 1801 del 31.10.2014.

On. avv. Felice C. Besostri

7 aprile 2015

[1]1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore: a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale; b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale; c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale.”

[2] Non possono essere candidati alle elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali: a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall’articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto di cui all’articolo 73 del citato testo unico, concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati; b) coloro che hanno riportato condanne definitive per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, diversi da quelli indicati alla lettera a); c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis,316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale; d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati alla lettera c); e) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo; f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

[3] Giunta Elezioni Senato 16° legislatura – Resoconto sommario n. 44 del 03/11/2009: Giunta Elezioni Camera-      Resoconto del 17 giugno 2009